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I magnifici 7


un breve studio sui più grandi tenoristi post-Bird

di Paolo Porta



tempo di lettura 6'


Anche se non per scelta, questo momento, come ogni altro cambiamento, comporta rinunce e vantaggi. Tra questi ultimi, tempo in abbondanza per tornare alla nostra collezione di dischi (solo per over 40, hifi nerds o hipsters) o a Youtube e Spotify (per tutti gli altri) per dedicarci all'ascolto e allo studio. Da quanto tempo non vi fermate per un'ora e ascoltate un disco per intero, dalla prima all'ultima traccia? Credo sia un'esperienza interessante da recuperare. Solo così si può cogliere in maniera più ampia e profonda il senso di un disco, soprattutto quando l'artista lo concepisce non come un semplice insieme di brani ma come un'entità organica con un preciso significato o tema.

La musica, come la società, è in continuo cambiamento ( evoluzione ? ) . La tecnologia è una vera benedizione in questo senso , dal momento che ci permette di essere testimoni di questo tempo e di seguire da vicino e in tempo reale le voci di questo cambiamento. Si può essere costantemente aggiornati e accedere facilmente al lavoro di giovani strumentisti straordinari che vivono dall'altra parte del mondo ed è facile contattarli personalmente.. Immanuel Wilkins, Mark Shim, Tivon Pennicott, Lucas Pino, Roman Filiu, Logan Richardson, Alex Lore... Paradossalmente in questo momento di crisi e di condivisione della stessa sfida , siamo tutti separati e vicinissimi nello stesso tempo.

Tuttavia per me - ed è in parte una questione sentimentale e adolescenziale - in questa fase di introspezione e studio, mi colpisce la grande forza del messaggio dei maestri del passato. L'emozione suscitata dalla musica con cui sono cresciuto e che mi ha dato tanti anni fa una speranza, è viva. Qui sotto vedete il mio personale e un po' caotico albero genealogico sassofonistico. Ho potuto ascoltare dal vivo molti di essi, conoscerne una buona parte e con alcuni ho avuto il privilegio di dividere alcuni momenti impagabili sul palco. Ho avuto fortuna!


Saxophone Family Tree. Al termine dell'articolo trovate la legenda* Nel frattempo vedete se riconoscete qualcuno!


Oggi però vorrei soffermarmi sui miei “magnifici sette”. Sono per me la massima espressione del sax tenore dopo la “rivoluzione” di Charlie Parker. Questi artisti non solo hanno contribuito enormemente all'evoluzione del linguaggio della musica afro-americana, ma la loro opera è rilevante per la musica del '900 in assoluto.

Attraverso i corsi e ricorsi delle mode, questi maestri rimangono la guida per ogni sassofonista e sono tuttora il riferimento imprescindibile per comprendere meglio lo strumento e il proprio ruolo di musicisti nella prospettiva e nella continuità della tradizione.

La loro storia è nota a tutti . Mi limito a segnalare per ciascuno un'incisione per me particolarmente significativa e accenno brevemente ad alcuni aspetti tecnici legati al loro setup.



1.Sonny Stitt

“Fine And Dandy”


La sua grandezza è stata spesso offuscata dall'inopportuno confronto con la figura schiacciante di Bird. Stitt sta a Bird come Barry Harris sta a Bud Powell. Entrambi, di pochi anni più giovani dei loro predecessori, hanno contribuito a concepire e codificare il linguaggio del bebop non meno di Bird, Dizzy, Monk, Fats Navarro ,Max Roach, Roy Haynes etc. Se si conosce la musica di Parker e si studia attentamente quella di Stitt, se ne può apprezzare la differenza e dare così il giusto valore a questo altista/tenorista ( in alcune sedute con Bud e J.J. Johnson, anche baritonista ) geniale per l'architettura del suo fraseggio. Sebbene agli inizi della carriera abbia suonato su King super 20 e Berg Larsen, nel corso della sua vita Stitt ha usato principalmente Selmer SBA e Mark VI e imboccature Otto Link Tone Master, Florida o Slant Signature sia su tenore che alto ( occasionalmente Hard Rubber Meyer 7 ny ). in questo brano mi affascina la sua estrema sintesi e lucidità. Il solo della durata di un chorus è un capolavoro per densità di idee, ritmo, fraseggio, armonia e articolazione .


2.Dexter Gordon

“Love For Sale”


Dexter, erede del patrimonio di Lester e Bird , è tra i padri del bebop e ha a sua volta influenzato generazioni di tenoristi, a partire da John Coltrane. Il suo timbro virile, ampio e maestoso , il suo beat largo ed elastico, la qualità “vocale” potente e lirica delle sue linee rendono unico il suo stile. E' tra i grandi maestri delle ballad.

Questo brano estratto da “Go” contiene un lungo solo di Dexter. Se si ignorano le note e ci si concentra su suono e ritmo, si ha la sensazione di assistere ad una vera narrazione, spledidamente sorretta dal lavoro telepatico di Sonny Clark e Billy Higgins.

Nelle prime fasi della carriera utilizza un Conn Connqueror e Link Four Stars o Tone Master. Successivamente, per tutto il periodo Blue Note il suo strumento è un Conn 10m accoppiato ad un Dukoff Hollywood large Chamber 6*. In seguito, fino alla fine della sua carriera , suonerà un Selmer Mark VI con un link Florida 7* e ance Rico 3.



3.Stan Getz

“Move”


The Sound. Insieme agli altri membri di “the herd” , il gregge di Woody Herman, fa parte della prima generazione di musicisti fortemente influenzati da Lester e da Bird. In una sua intervista a proposito del suo suono puro, lirico e del suo controllo perfetto, a qualsiasi tempo, Stan rispondeva di non amare un suono “tutto di ancia” e di dover lavorare duro per ottenere il sound che voleva.

Vale la pena anche dare uno sguardo al video girato in studio in Germania nel 1960 in compagnia di Trane, Peterson, Chambers e Jimmy Cobb. Interessante notare il diverso tipo di energia e sound dei due tenori , anche considerando il fatto che Trane stesso citava Getz tra le sue influenze. Stan diceva di non aver mai suonato una nota che non volesse veramente suonare. La logica, la fluidità , il lirismo, il relax e perfetto equilibrio delle sue frasi in questa versione di Move, gli danno ragione.

Nel corso della sua carriera ha utilizzato per un breve periodo Conn 10m, poi Selmer SBA e Link Tone Master o Brilhart ( nel periodo con Jimmy Rainey dal 48 al 53 ) e infine Selmer mark VI con Meyer o Link slant con aperture contenute ( 0.087 = 5* ca ) e ance dure ( vandoren Blu 3,5 ).



4.Sonny Rollins

“Old Devil Moon”


E' il re incontrastato del sax tenore. Una leggenda vivente. Anche ora , nonostante si sia ritirato dalle scene da alcuni anni per ragioni di salute, rimane una fonte di ispirazione, un faro per chiunque si avvicini alla musica e al sassofono in particolare. Ho avuto occasione di ascoltarlo molte volte dal vivo e ho sempre avuto la sensazione che una volta preso il sassofono in mano si trasfigurasse in una specie di sciamano e che la sua musica diventasse un'autentica cura per l'anima. Uno dei pochi veri ed inesauribili improvvisatori di tutti i tempi.

In questa celebre registrazione live suona con altri due colossi, Elvin e il grande e a mio parere sottovalutato Wilbur Ware al contrabbasso.

Sonny ha cambiato spesso setup. Agli albori della carriera ha suonato King Zephyr, Conn Transitional, Buescher Aristocrat a campana piccola (sulla cover di “On Impulse” appare con i due tenori Selmer Mark VI e Buescher...provate a dire con quale registrò effettivamente .Sonny possiede tuttora il suo Big B !) , King Super 20, SBA per un breve periodo, e infine Selmer mark vi 14xxxx . La scelta delle imboccature ha coinciso con le varie “fasi” della sua evoluzione e ricerca: Brilhart, Link Reso Chamber, Link Tone Master, Selmer Soloist K (“The Bridge”), Link Florida, Berg Larsen in ebanite e metallo. L'ultima combinazione scelta intorno ai primi anni '80 per problemi dentali , sembra essere quella del Larsen 130/2 con ance La Voz medium.



5.John Coltrane

“Chasin' The Trane”


A chi gli chiedeva di sintetizzare in tre parole il jazz, Art Blakey rispondeva “Intensity, Intensity, Intensity”. Per quanto il patrimonio musicale lasciatoci da Coltrane con le sue registrazioni in studio sia immenso e abbia cambiato la storia della musica, le sue esibizioni dal vivo evidenziano ciò che egli poteva comunicare con tempi più lunghi, in un ambiente informale e soprattutto in presenza di un pubblico a cui rivolgersi. Elvin racconta che generalmente un pezzo non durava mai meno di 20 minuti e che la comunicazione tra i musicisti era quasi telepatica. Steve Grossman mi ha raccontato che la cosa più straordinaria era non tanto l'ampiezza o il volume, ma la proiezione e la “densità” del suo suono. Come se la materia di cui era composto fosse quasi tangibile . Gary Bartz racconta che a volte l'intensità delle sue esibizioni era talmente forte da essere insostenibile e che il suono di Trane “penetrava nelle ossa” dell'ascoltatore. In molte registrazioni, mi viene in mente quella dell'Half Note, il pubblico urla come fosse in trance. Ho la sensazione , in Trane come in Bird più che con ogni altro sassofonista, che il sassofono contenesse a stento tutta la loro straordinaria viscerale potenza, concentrata nella colonna d'aria. Entrambi, con una pratica incessante, avevano raggiunto un dominio dello strumento che ha del mistico. Il brano selezionato è un blues di 16' registrato sempre al Village Vanguard in trio e da' solo un'idea di questa incredibile intensità. Chissà cosa doveva essere avere Trane a pochi metri..

In qualche immagine nel periodo gillespiano lo si vede con un King Super 20. In seguito , ha suonato su un Selmer Sba , ora nelle mani di suo figlio Ravi, per poi passare al Selmer Mark VI intorno al 1965. Paul Jeffrey racconta di Trane e di una sua leggendaria borsa piena di becchi.. l'ossessione per il suono e i problemi dentali spingevano Trane a ricercare la soluzione migliore per le sue necessità: Tone Master 5* ance 3,5 e occasionalmente Berg Larsen ( come nella foto sopra ) o Selmer soloist ( sulla copertina di Coltrane plays... ) Si dice che lui stesso modificasse i suo becchi aggiungendo dei baffle artigianali e che i suoi bocchini fossero modificati da Frank Wells, uno dei primi refacer, di stanza a Chicago. In seguito, dal 1965 circa , passa al Link Florida con un tip decisamente più grande. Coleman Hawkins a questo proposito in un'intervista si diceva “preoccupato” che con un tip così largo avrebbe avuto un suono più grosso del suo!

Indipendetemente dall'attrezzatura i risultati sarebbero stati gli stessi. Trane suona l'alto su un paio di dischi. Su “The Big Sound” di Gene Ammons usa un Buescher True Tone preso in prestito dal critico Ira Gitler. Nell'altro ( live in Japan 1966, Impluse records ) suona un prototipo donatogli da Yamaha, che somiglia molto a quello che sarebbe stato lo Yas 61. In entrambi i casi dopo una sola nota si riconosce la sua voce, e non certo per merito degli strumenti...


6.Wayne Shorter

“Autumn Leaves”


Intorno alla fine degli anni '50 Wayne, insieme a pochi altri giovani leoni ( Joe Henderson, Sam Rivers, George Coleman, Jimmy Heath, Benny Golson etc ) rappresentava la nuova onda di tenoristi. Emergere dall'ombra di due colossi come Trane e Sonny, di pochi anni più anziani di loro, era la sfida per tutti i giovani tenoristi di quell'epoca. L'”apprendistato” con Art Blakey lo prepara ad una delle vette di tutta la storia della musica afro-americana: il quintetto di Davis. In questo live a Berlino del 1964, Miles suona il tema e con il suo solo prepara il terreno per Wayne che entra a 4'39 e con un solo epico guida la ritmica con un dominio assoluto delle dinamiche, delle pause, del ritmo, della durata e curva del solo, per la costruzione e sviluppo del suo discorso. Il resto della sua carriera è storia della musica.

In questo periodo Wayne suonava un Bundy, prodotto dalla Buescher ( quello ripreso in foto qui sopra ), uno strumento leggerissimo ed estremamente risonante, ma dalla meccanica piuttosto scomoda ( ne ho suonato uno identico per un breve periodo, prima di iniziare a soffrire di tendinite e liberarmene presto.. ). Nel video del concerto di Milano al Teatro dell'Arte, pochi giorni dopo , Wayne sembra infastidito dalla meccanica o da qualche altro impedimento tecnico. Ma la sua musica non sembra risentirne affatto! Successivamente ha utilizzato Selmer Mark VI, Mark VII ( del cui peso e ingombro si lamentava in un'intervista ) Keilwerth, Selmer SAIII e da una quindicina d'anni un Selmer SBA con un neck Selmer argentato di altra provenienza. Le imboccature sono apparentemente sempre state dei Link Florida o STM di aperture considerevoli ( .130 ) o in anni più recenti un Lebayle in metallo.


7.Joe Henderson

“A Shade Of Jade”



Spesso la grandezza e il ruolo di un artista si misurano dall'influenza esercitata sui suoi contemporanei e sui successori. Non ci sarebbe mai stato un Joe Henderson, senza Ben Webster, Paul Gonsalves, Bird, Sonny e Trane. Allo stesso modo Joe è uno dei maestri più influenti di tutta la storia del sassofono e della musica afro-americana. Il suo sofisticato e personale concetto di suono, melodia, armonia, ritmo , il suo approccio compositivo, la sua abilità di band leader e di improvvisatore sono stati e sono materia di studio per generazioni di musicisti.

La sua intera produzione spazia attraverso diversi stili, rispecchia fedelmente lo spirito dei suoi tempi e mostra come l'aderenza alla tradizione unita ad una forte personalità, chiarezza di visione e consapevolezza della propria unicità, lo abbiano portato a risultati artistici inestimabili.

Il pezzo selezionato è una delle sue composizioni più celebri del periodo Blue Note, la formazione è stellare e i tutti soli sono ai vertici per intelligenza, creatività, energia e urgenza espressiva. L'interplay e il reciproco sostegno tra i vari membri è esemplare.

Per quanto ne so Joe ha suonato per tutta la carriera su un Selmer Mark VI ( ad eccezione di un breve periodo tra gli anni '80 e '90 in cui optò per un SA80 in seguito al furto del suo VI, in seguito poi casualmente ritrovato ) e con un Soloist short shank D ( occasionalmente anche con un long shank ) con ance la voz medium soft.

Alcune considerazioni conclusive


E' interessante notare come i musicisti che ho citato usassero tutti più o meno la stessa strumentazione ossia ciò che di meglio il mercato proponeva all'epoca: sassofoni Conn, King , Buescher e Selmer e imboccature Link, Larsen, Meyer e Dukoff.

E' evidente quindi che gli strumentisti arrivassero a risultati così personali non certo per merito del loro equipaggiamento. All'epoca la formazione classica non era una rarità neanche tra i musicisti di jazz. Ma l'assenza di un sistema didattico nel jazz, spingeva il singolo musicista a imparare il linguaggio direttamente dalle fonti, a suonare con gli altri e a trovare da solo le soluzioni tecniche e un suono personale per esprimere le proprie idee e distinguersi.

Questo conferma come il setup sia d'importanza piuttosto relativa e che il suono sia originato dal musicista attraverso la pratica e prima di ogni altra cosa da una chiara immagine del suono che si intende ottenere.

Nei casi citati , a differenza di ciò che avviene oggi, quei musicisti affrontavano prevalentemente situazioni totalmente acustiche per le quali il loro setup era adeguato. Se osservate le foto dell'epoca, nei piccoli club non c'era amplificazione e generalmente, a parte eccezioni clamorose come Eddie Lockjaw Davis, Johhny Griffin o più tardi Wayne Shorter, Roland Kirk o Steve Lacy, il setup era “medio”: tip non eccessivo, ance medie e camera larga o media. Come ottenere il massimo da quel tipo di attrezzatura e farla propria era frutto di dedizione.

Nonostante la ricerca e il progresso tecnologico ( e il marketing ) ormai offrano un'estrema varietà di prodotti non si può dire che ad oggi si sia giunti a soluzioni radicalmente diverse o molto migliori di quelle raggiunte già più di 80 anni fa. Ne è la prova il fatto che gli strumenti più ambiti continuano ad essere il Sba o il mark vi o il Conn New Wonder o il 10m, a seconda dei gusti. E per le imboccature Florida, Soloist e Slant (o le repliche che a questi strumenti si ispirano).

Oggi le condizioni acustiche spesso sono diverse, ma la scelta andrebbe fatta a monte, considerando il sassofono per quello che continua ad essere e cioè uno strumento acustico , a misura di spazi medio-piccoli o “da camera” per così dire, che va amplificato solo quando sia veramente necessario rendere udibile il suo suono naturale. Che deve essere pieno, bilanciato e sufficientemente potente a priori . Al di là dei nostri gusti e del setup usato dai nostri eroi, è preferibile trovare un imboccatura confortevole e che rispetti le nostre caratteristiche fisiche. Un buon punto di partenza potrebbe essere un'apertura media, con camera media e ance di media durezza. Così è possibile ottenere un buon equilibrio tonale fatto di corpo, presenza, potenza, sfumature, calore e colore. Con questi mezzi si ha la possibilità di forgiare il proprio suono e plasmarlo a seconda di diversi contesti acustici e stilistici.


Detto ciò, aggiungo che ciò che ho suggerito finora è del tutto soggettivo e non pretende di essere “definitivo”. I gusti, l'esperienza dell'ascolto, la pratica dello strumento, la scoperta della propria personalità e la ricerca del proprio suono, sono parte di un percorso personale, intimo. Grazie per aver letto fino a questo punto. Se volete, condividete qui i vostri pensieri!



* Saxophone Family Tree.

Legenda


Lester Young, Carlie Parker, Paul Gonsalves, Allen Eager, Lee konitz, Dexter Gordon,Gene Ammons, Wardell Gray, James Moody, Stan Getz , Sonny Stitt, Jackie McLean, Pepper Adams, Sonny Rollins, Charlie Rouse, John Gilmore, John Coltrane, Joe Henderson, Wayne Shorter, Eddie Harris, Gary Bartz, Steve Grossman, Michael Brecker, Frank Tiberi, Sal Nistico, George Garzone, Jerry Bergonzi, Dick Oatts, Steve Coleman, Mark Turner, Afredo Ponissi, Emanuele Cisi, Dino Govoni.

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