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L'imboccatura perfetta



di Paolo Porta

12/07/23

tempo di lettura : 4'



La frustrazione da imboccatura è tristemente nota a tutti noi sassofonisti. Come voi ho provato invano tante opzioni diverse. Per stanchezza, parecchi anni fa ho provato a considerare i becchi per sassofono anche da un punto di vista tecnico e acustico. Non posso dire di aver trovato la soluzione, ma quantomeno, con il tempo, di aver fatto pace con il sassofono!

E' stata finora un'esperienza estremamente interessante e formativa. Prima di tutto sotto il profilo tecnico, nel senso che pur avendo avuto una guida importante come François Louis, il processo attraverso prove-errori e test sul campo si è rivelato la maniera più realistica ed efficace di procedere in questo ambito. Ma più di ogni altra cosa - entrando in contatto con molti musicisti che hanno affidato a me i propri strumenti - questo lavoro mi ha permesso di avvicinarmi alle idee più disparate in materia di produzione del suono, del sassofono e del suo impiego nei contesti più vari. Questa materia implica molti aspetti diversi e integra scienza, arte, tradizione, ricerca, umanità e una sorta di mistero esoterico legato al suono e alla vibrazione della materia. Non di rado con i musicisti da un discorso perlopiù tecnico ci si addentra in questioni di natura più artistica, estetica, espressiva.

Da parte mia cerco di anteporre questi argomenti a qualsiasi intervento e di considerare secondario ogni problema problema tecnico e di inefficienza della propria strumentazione rispetto alla nostra capacità di controllo, al di là delle nostre preferenze musicali, estetiche o di strumentazione. E' evidente che se non funziona correttamente, lo strumento interferisce e dunque deve assolutamente essere messo in condizione di “servire” al meglio. Sono dell'idea però, e gli esempi a supporto di questa opinione sono molti, che l'attrezzatura conti solo in minima parte e che il sassofono “siamo” noi, prima di tutto. Del resto, questo è ciò che più ( mi ) affascina di questo strumento. Il fatto cioè che più di altri strumenti, il sax sia intimamente connesso alla nostra fisicità e che ciascuno di noi possa trovare attraverso di esso la propria personale e inimitabile“voce”, come lo sono i nostri tratti somatici o il timbro della nostra vera voce.

Il suono che otterremo è essenzialmente determinato dalla nostra concezione e immagine mentale, più o meno nitida, del suono che vorremmo ottenere. Lo strumento risponde e traduce - in misura pari alla sua qualità, questo è ovvio – alle informazioni che noi proiettiamo attraverso di esso.


Parlando di becchi, la mia attenzione si concentra prima di tutto sull'imboccatura vera e propria , cioè su come noi imbocchiamo lo strumento. Questo implica , andando a ritroso nella “catena” di produzione del suono , lo studio della fisiologia della respirazione e del principio di produzione del suono nel sassofono. Quando ho cercato di capire il funzionamento del sax, come si produce un suono, come e quanto la mia imboccatura e il mio modo di respirare/soffiare potesse drasticamente cambiare i risultati, mi si sono chiariti alcuni dubbi . L'idea in sé era abbastanza chiara in teoria, ma averne una sensazione precisa è stata un'esperienza rivelatrice. Comprendere e sentire che non è l'ancia in sé a produrre un suono, ma che è l'aria contenuta nel sassofono ad essere messa in movimento dall'aria che proviene dai polmoni, mi hanno portato a riconsiderare e cambiare il mio tipo di emissione e di imboccatura. La colonna d'aria vibra come una corda ( e come tale si comporta dal punto di vista fisico: lunghezza, armonici, proporzioni, nodi etc ). L'ancia è funzionale a questo processo, nel senso che, con la vibrazione sul proprio asse e contro i rails del nostro becco, permette di creare alternatamente un tubo chiuso e aperto ( Da qui la definizione del sassofono di “tubo semichiuso” ..a differenza degli ottoni ad esempio che sono tubi chiusi ). La consapevolezza di questo principio, la percezione del “ritorno” di energia di parte dell'aria che risale verso l'ancia può cambiare il proprio modo di emettere un suono. E più in generale a rivedere il significato di "strumento a fiato” e strumento "ad ancia”. A chi volesse approfondire il concetto suggerisco al lettura di questo trattato di fisica e acustica nel sassofono: https://www.phys.unsw.edu.au/jw/saxacoustics.html

Negli anni ho assistito a tante imboccature quanti sono i sassofonisti che ho conosciuto. Ciascuno di noi è uguale e diverso al tempo stesso e di conseguenza la morfologia di labbra, laringe, cavo orale, denti, palato, torace, o il peso, postura etc avranno un certo impatto sul nostro suono. Nello stesso tempo il sassofono rimane quello che è indifferentemente, per tutti noi. Non esiste un'imboccatura corretta o perfetta in assoluto. Certo il sassofono è nato per rispondere a determinate necessità acustiche e tecnico-esecutive, ma nel tempo la sua storia ha mostrato innumerevoli sviluppi estetici e stilistici che dimostrano come possa esistere solo l'imboccatura più efficace per le proprie necessità.

Dal mio punto di vista l'impostazione “giusta” è quella che rispetta la fisiologia del singolo e nello stesso tempo permette al sassofono di offrirci senza costrizioni o limitazioni, il massimo del suo potenziale timbrico, di volume, espressione, sfumature, dinamiche, articolazione etc. Il becco è la congiunzione tra noi e il sassofono, tra i pochi strumenti ( come fagotto, clarinetto , oboe, flauto dolce etc) che si imbocca. E' il punto più delicato dal momento che la transizione o trasformazione di energia in suono non deve essere impedita o ostacolata da qualsiasi restrizione o forza contraria. Di conseguenza il mio approccio è quello che Jerry Bergonzi definisce la “non-imboccatura” o Dave Liebman descrive come la “V lip position embouchure”.

Siamo dotati tutti senza saperlo dell'imboccatura più naturale, sciolta ed efficiente possibile e che consiste nell'esercitare intorno al “sistema” ancia/becco - indipendentemente dal registro in cui si suoni - sempre l'energia e pressione minima e necessaria a convogliare l'aria dai polmoni all'imbocco dello strumento. Un video interessante che troverete su youtube spiega chiaramente questo concetto

Il mio primo maestro Alfredo Ponissi e il mio insegnante e mentore George Garzone, anch'egli allievo di Joe Viola, sostengono lo stesso principio e affermano come la lingua, utile per l'articolazione, la pronuncia, sfumature, effetti etc, sia spesso un ostacolo per la comprensione di questo concetto.


La lughezza del facing è un altro aspetto spesso trascurato. Nella scelta di un becco o dell'intervento da eseguire su di esso spesso ci si concentra sul tip opening, sulla camera o sulla geometria di tip e baffle. Il facing lenght è altrettanto se non più importante . Ha a che fare con un dettaglio determinante quale la profondità della nostra imboccatura e la relativa scelta del taglio di ance da utilizzare. Sono particolari da considerare in maniera integrata poiché ciascuno inciderà sugli altri.









Può essere discutibile - e se osservate i vostri musicisti di riferimento noterete gli approcci più disparati - ma a mio avviso, coprendo almeno tutta la porzione di ancia che va dal break point ( il punto di separazione tra il piano del bocchino e l'ancia ) con la tavola in poi , si permette ad essa di compiere l'intero periodo di oscillazione sul proprio asse in maniera libera e più ampia possibile. Il risultato è un sassofono che può suonare e risuonare senza ostacoli. Sulle prime il suono può risultare più aspro, grezzo, “sgranato”. Il tipico ronzio, la “zzz” prodotta dallo schiaffo alternato dell'ancia sui rails sembra accentuarsi. In realtà si apre, si libera lo strumento e gli si restituisce tutto lo spettro di frequenze di cui è capace.



Se invece imbocco prima del break point di fatto creo un secondo break point, dividendo la parte vibrante dell'ancia in due parti. La sua capacità di vibrazione si riduce. Se a questo si aggiunge una sempre minor resistenza più ci si avvicina al tip, se la nostra imboccatura non è non perfettamente controllata, flessibile e leggera, il labbro inferiore piegherà l'ancia verso i rails, riducendo il tip opening, con conseguenti problemi di intonazione ( crescente ) e producendo un timbro più scuro, ma in realtà, a mio avviso, povero, spento, afono. Osservazioni opinabili le mie certamente dato che anche il gusto entra in gioco, ma questo rimane l'approccio che con me funziona meglio per il suono che cerco.


Nelle immagini sottostanti troverete alcuni primi piani di musicisti particolarmente esemplari per me, non solo sotto il profilo musicale, ma anche per quanto riguarda il tema che sto trattando qui. Può essere interessante fare una ricerca di immagini ravvicinate e cercare di trovare una correlazione tra il tipo di imboccatura che si osserva e il suono di quell'artista e magari provare noi stessi a fare esperimenti sullo strumento cercando di carpire qualche informazione utile. L'imboccatura di Gene Ammons è molto diversa da quella di Stan Getz...e così anche il loro suono di conseguenza.












Oltre a questi, tra i musicisti che meglio rappresentano quello che intendo dire, citerei la “scuola” dei sassofonisti ( essenzialmente tenoristi ) che fecero breccia nei primi anni '70 a New York. Mi riferisco a Steve Grossman in primo luogo, ma anche a Bob Berg, Michael Brecker, Dave Liebman, Bob Mintzer, Greg Herbert, Bob Malach, Jerry Bergonzi, etc. In particolare c'è una fase della carriera di Steve Grossman in cui il tenore assume un colore, dimensione, plasticità quasi materica, tangibile ( penso allo storico album “Live at the Lighthouse” di Elvin Jones. Ascoltate “Sambra” al minuto 3:40... ).


Ancora una volta, non è la bontà dello strumento ma chi ci sta dietro. Tutti questi tenoristi furono in momenti diversi allievi di Joe Allard, un autentico guru del sassofono, attivo come polistrumentista e didatta tra gli anni '50 e gli '80. Ma la lista interminabile dei suoi studenti oltre ai musicisti succitati, comprende alcune figure storiche: Coltrane, Konitz, Marsh, Eric Dolphy, Stan Getz, Harry Carney...

Dave Liebman , nel suo testo “Developing a personal saxophone sound” affronta in maniera molto meticolosa e approfondita i concetti di cui parlavo, ma mi pare che la matrice a cui si ispira sia proprio l'insegnamento di Joe Allard.


Ecco un video interessante che lo vede protagonista: https://www.youtube.com/watch?v=K-0N7XETP5M. Vale la pena dare un'occhiata anche ai video di Harvey Pittel, uno dei sui allievi che ha più di altri ha ereditato e divulgato il suo metodo.


Spero che queste mie considerazioni siano state di aiuto. Ogni commento o condivisione è utile e ben accetta. Grazie e alla prossima!


PP





foto dall'alto in basso:

Charlie Parker

Sonny Rollins

Bob Berg

Dexter Gordon

Ralph Moore

Sonny Stitt

Eddie Lockjaw Davis

Jackie McLean

Ike Quebec

John Coltrane

Gene Ammons

Stan Getz

Steve Grossman

Joe Allard










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